Avvocati e previdenza: i 3 errori più frequenti

Le scelte previdenziali sono scelte complesse perché richiedono di valutare una serie di variabili e le interconnessioni fra loro con riferimento a numerosi campi: finanza, statistica, matematica attuariale, normativa, fiscalità, demografia, ecc.

Oltre a ciò, le decisioni previdenziali vengono assunte in contesti di incertezza. Quando si decide riguardo alla propria pensione, infatti, non si conosce quella che sarà l’età di pensionamento del momento, l’entità della pensione futura, i rendimenti dei mercati finanziari nel tempo e i valori del Pil dai quali dipendono le rivalutazioni dei contributi previdenziali, l’evoluzione della normativa e della sostenibilità del sistema pensionistico negli anni.

Proprio l’elemento dell’incertezza che caratterizza le scelte previdenziali è alla base degli errori cui sono spesso soggette le decisioni in tema di pensione.

Come spiega lo psicologo israeliano Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia 2002, quando si assumono decisioni in contesti di incertezza si compiono spesso errori sistematici, si utilizzano, cioè, in maniera erronea i due sistemi di pensiero attraverso i quali l’uomo forma il proprio giudizio.

  • Il sistema 1, legato all’intuizione

  • Il sistema 2, associato al ragionamento

Il sistema 1, istintivo, veloce e capace di elaborre informazioni senza sforzo, è deputato allo svolgimento di attività cognitive automatiche o involontarie come ad esempio parlare, leggere o dire le tabelline.

Il sistema 2, logico, razionale e in grado di processare informazioni complesse con fatica, interviene quando il compito da svolgere richiede concentrazione e autocontrollo come, ad esempio, fare calcoli complessi, trovare una persona nella folla o comparare il valore di due oggetti.

Questa efficiente organizzazione di pensiero entra in crisi quando il contesto in cui si assumono decisioni è incerto e richiama alla mente un senso di pericolo. In ambito previdenziale, come visto prima, lo scenario è incerto e, inoltre, la volatilità che caratterizza i mercati finanziari (da cui dipendono indirettamente le pensioni) simula a livello emotivo la lotta per la sopravvivenza e mette in azione il sistema 1, anche quando si tratta di prendere decisioni complesse e articolate come quelle relative alla pensione che richiederebbero, invece, ragionamento e concentrazione.

La confusione fra i due sistemi di pensiero ha come conseguenza una serie di errori cognitivi (bias) e di scelte previdenziali sbagliate che si ripercuotono sull’importo della pensione futura e sulla serenità degli anni di pensionamento.

Fra questi errori ve ne sono tre in particolare in cui incorrono più facilmente gli avvocati e che si ricollegano alla loro attitudine professionale a prefigurare per tempo insidie e scenari sfavorevoli, difficili da immaginare per chi non si occupa di temi legali e al modo prudente con cui guardano al rischio.

Sommario

Procrastinare

Il primo errore comportamentale degli avvocati in ambito previdenziale è quello di procrastinare, rimandando la decisione di occuparsi della propria pensione e di mettere in piedi un piano pensionistico integrativo.

Le giustificazioni personali a questa scelta sono prettamente emotive e richiamano i luoghi comuni del “tanto morirò prima”, “alla pensione non ci arriverò mai”, “adesso ho problemi più grandi”, ecc. In realtà, questa inerzia nella scelta è il risultato di uno degli errori sistematici più conosciuti e studiati nella finanza comportamentale e nel marketing: lo status quo bias. Questa distorsione cognitiva spiega la preferenza delle persone per la situazione esistente (nel nostro caso non occuparsi della pensione) rispetto ad una situazione alternativa sconosciuta (fare scelte previdenziali), quando si deve decidere in condizioni di incertezza; l’incertezza è percepita come pericolo e induce all’immobilismo.

L’immobilismo, però, fa perdere opportunità e riduce la ricchezza nel tempo. In campo previdenziale, ad esempio, la ritardata adesione alla previdenza integrativa (di qualsiasi tipo: contributo modulare, fondo pensione, polizza ecc.) può rappresentare una perdita anche significativa in termini pensionistici. A parità di somme destinate al progetto pensionistico, il risultato finale è molto diverso se l’importo viene diluito in più anni, iniziando a contribuire da giovani, o se viene versato tutto gli ultimi anni in prossimità della pensione. Come si può vedere dalla tabella sotto riportata, iniziando a versare a 30 anni si riceve una pensione quasi doppia rispetto a quella che si riceverebbe versando la stessa cifra a partire da 60 anni.

Il profilo di rischio

Il secondo errore comportamentale riguarda il profilo di rischio degli investimenti fatti a fini previdenziali.

Quando si decide di costruire una pensione integrativa, oltre a stabilire l’importo da accantonare e lo strumento (o gli strumenti) da utilizzare, occorre anche scegliere il profilo di rischio dell’investimento previdenziale. Si tratta di una decisione strategica perché i suoi effetti hanno conseguenze rilevanti sull’importo della pensione futura.

I dati della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP) ci dicono che più del 50% dei profili dei fondi pensione è di tipo conservativo. Posto che per coloro che sono più prossimi al pensionamento il profilo conservativo è una scelta corretta in quanto consente di consolidare i rendimenti realizzati negli anni, per tutti gli altri rappresenta un’opzione inefficiente. Questo perché, come già visto (v. articolo Il contributo modulare), il rischio finanziario (diversificato) decresce con il tempo e si annulla, statisticamente, a partire dal 14° anno. Se, quindi, la storia ci dice che, trascorsi 14 anni, l’investimento nei mercati azionari offre opportunità di crescita senza perdite in conto capitale è chiaro che la scelta di un investimento previdenziale a basso rischio per chi ha 20 o 30 anni alla pensione è un’opzione quantomeno irragionevole.

Anche in questo caso, la scelta di investire con profilo conservativo quando l’orizzonte temporale di investimento è decisamente lungo e il rischio è trascurabile, è frutto di una distorsione cognitiva derivante dall’utilizzo nel ragionamento del sistema 1 (intuitivo e emotivo) anziché del sistema 2 (riflessivo e logico). Il tema della pensione è inconsciamente associato a quello della sopravvivenza perché la rendita che si riuscirà ad ottenere dovrà garantire (assieme alla pensione obbligatoria) una vita adeguata in anni in cui non si avrà più modo di aumentare le entrate. L’obiettivo è quindi di primaria importanza e il timore di non raggiungerlo genera preoccupazione e talvolta paura. Questo fa sì che a livello cerebrale si attivi il sistema 1, quello più primitivo e deputato alla sopravvivenza, che fa propendere per l’investimento in strumenti a basso rischio confondendo così l’obiettivo (la sicurezza) con il mezzo per raggiungerlo (l’investimento in strumenti a basso rischio)[1].

Questo errore cognitivo è molto frequente e molto “costoso” in termini previdenziali. La differenza di rendimento tra un comparto a basso rischio e uno dinamico viene amplificata nel tempo dal meccanismo dell’interesse composto e porta, a fine percorso, a una significativa differenza nell’importo della rendita pensionistica.

CONFRONTO COMPARTO GARANTITO – COMPARTO A COMPONENTE AZIONARIA

 Fondo Espero (fondo pensione negoziale dei lavoratori della scuola), anni 2006-2021[2]

Preferenza per il capitale

Il terzo ed ultimo errore riguarda la preferenza per il capitale quando si tratta di scegliere sotto che forma percepire quanto accumulato sul fondo pensione integrativo.

La normativa consente, con modalità diverse a seconda della data di accensione del fondo pensione e dell’entità del montante accumulato, di scegliere se ritirare il capitale o optare per la rendita vitalizia. Nonostante il fondo pensione nasca, come dice il nome, con l’obiettivo di creare una pensione, la quasi totalità dei soggetti, al raggiungimento dei requisiti pensionistici, sceglie di percepire il capitale; solo il 2,2% degli aderenti opta per la rendita[3]. E’ chiaro, quindi, che la maggior parte delle persone ritiene il capitale una scelta più vantaggiosa rispetto alla rendita.

In realtà, anche in questo caso, si genera confusione fra i due sistemi di pensiero e ad entrare in azione sono addirittura tre “scorciatoie mentali” che alterano il modo in cui viene percepita la realtà e portano a scelte inadeguate.

La prima di queste tre distorsioni percettive è quella di frame, cioè di contesto all’interno del quale viene assunta la decisione.

La funzione della pensione non è quella accrescere il patrimonio ma quella di coprire da un rischio: quello di sopravvivere ai propri soldi, di vivere così a lungo che le risorse che sono state accantonate non siano sufficienti al sostentamento. L’ottica con la quale guardare alla pensione, quindi, non deve essere quella finanziaria (scelta del capitale) ma piuttosto quella assicurativa (la rendita viene pagata a vita, coprendo così dal rischio di rimanere senza risorse nel caso si viva più a lungo del previsto).

Oltra all’effetto frame, nella scelta rendita-capitale intervengono altri due errori sistematici: l’avversione alle perdite e il bias dello sconto iperbolico.

L’avversione alle perdite è una distorsione cognitiva connessa all’istinto di sopravvivenza che spiega perché la maggior parte delle persone percepisce le perdite con maggiore intensità rispetto ai guadagni (per pareggiare il dolore di una perdita occorre guadagnare 2 volte, spesso due volte e mezzo quanto si è perso). Nel caso della scelta rendita/capitale l’avversione alle perdite fa percepire la perdita legata alla possibile premorienza (avendo percepito, quindi, poche rate di rendita) come doppia rispetto al guadagno che si avrebbe in caso di lunga sopravvivenza (caso in cui il pagamento della rendita andrebbe oltre l’importo del capitale conferito). Quando il contesto è incerto, in sostanza, le scelte delle persone non guardano al maggiore o minore vantaggio ottenibile ma mirano, prima di tutto, a evitare le perdite.

Il bias dello sconto iperbolico, infine, è una distorsione percettiva che porta a preferire la soddisfazione immediata (nel nostro caso il capitale che viene riconosciuto subito) rispetto ad una gratificazione lontana nel tempo (la rendita), anche se questa può essere maggiore.

Come si può vedere, non è semplice fare scelte previdenziali ragionate e consapevoli, spesso le emozioni e l’istinto portano a prendere decisioni che vanno addirittura nella direzione opposta rispetto a quella desiderata. Conoscere questi “inganni della mente” e riconoscerli quando sono in azione, consente di guardare alla situazione con maggior distacco e di valutarla da una prospettiva più razionale a tutto beneficio del proprio futuro previdenziale.

[1] Cervellati E.M., Ecco come il cervello ci inganna sulla pensione, Financial Community Hub, 10 luglio 2018.


[2] Previdenza News FLC CGIL, n.2, aprile 2022.

[3] ANIA, Indagine sul ricorso alla rendita vitalizia, esercizi 2017-2019, 22 giugno 2021.

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𝐆𝐥𝐢 𝐚𝐯𝐯𝐨𝐜𝐚𝐭𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐜𝐥𝐢𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢, 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢

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COME SI FA UN CHECK-UP PREVIDENZIALE?