Previdenza, avvocati in causa con la Cassa Forense sui contributi sul lavoro post-pensione

ll tema del trattamento previdenziale e contributivo degli avvocati genera talvolta confusione a causa di informazioni incomplete.

Mi ha colpito in questo senso l'articolo sotto riportato relativo agli avvocati in pensione che proseguono l’attività professionale. Si tratta di una categoria in costante crescita che rappresenta oggi il 6,4% del totale degli avvocati iscritti alla Cassa.

L'articolo solleva due questioni:

·  👉 La prima relativa a dove finiscono i contributi versati dai pensionati attivi, posto che a fronte dei versamenti fatti non vengono riconosciuti supplementi di pensione come avviene invece per le altre casse previdenziali dei professionisti.
·  👉 La seconda relativa alla mancanza di trasparenza dei meccanismi contributivi post pensionamento da parte della Cassa.

Entrambe le questioni, in realtà, sono disciplinate chiaramente nel Regolamento Unico della Previdenza Forense e non mi pare che si possa parlare di dubbi al riguardo. Forse è più un tema di condivisione o meno della disciplina.

Ma vediamo di capire meglio.

Circa il primo punto, i contributi versati dai pensionati attivi confluiscono, almeno in parte, nella prestazione contributiva per i pensionati di vecchiaia, una prestazione “una tantum” che ha sostituito dal 1° febbraio 2021 i supplementi di pensione.

Dico in parte perché i pensionati attivi (beneficiando di una riduzione del 50% dell’aliquota) versano come contributo soggettivo il 7,5% del reddito[1] ma solo un terzo di quanto versato viene restituito sotto forma di prestazione (la prestazione contributiva di vecchiaia è riconosciuta sul 2,5% dei contributi versati e rivalutati).
La restante parte, così come il 3% oltre al tetto pensionabile, viene destinata a solidarietà.

Si tratta certamente di un trattamento penalizzante per gli avvocati in pensione che continuano l’attività ma che è stato spiegato dalla Cassa come un modo per riequilibrare la posizione dei professionisti più anziani, che percepiscono una pensione calcolata con criteri di calcolo più favorevoli, e quella dei giovani iscritti, cui verranno erogate prestazioni previdenziali molto ridimensionate.

Circa il secondo punto, come detto sopra, non mi pare si possa parlare di mancanza di trasparenza perché il trattamento dei pensionati attivi, sia riguardo alla contribuzione che alla prestazione erogata, è chiaramente disciplinato dal Regolamento Unico della Previdenza Forense, in particolare agli art. 17, 24 e 59.

Concludo ricordando che la proposta di riforma previdenziale (attualmente ancora in fase di approvazione) prevede l’abolizione della prestazione contributiva di vecchiaia e il ripristino dei supplementi di pensione. Se approvata in questi termini, porrebbe fine ai dubbi e ai contenziosi sollevati dalla disciplina.

Leggi l’articolo completo qui:

Indietro
Indietro

Riforma della previdenza: a che punto siamo?

Avanti
Avanti

Quando si parla di pensione il “quando” può diventare più importante del “quanto”